Usati, fra gli anni 60 e gli anni 80, dai tantissimi operai, manovali, ingegneri e tecnici che lavoravano nel bel mezzo dell’oceano Pacifico sulle piattaforme petrolifere, gli elmetti in alluminio, oggi sostituiti da quelli in plastica, sono un oggetto desideratissimo fra i collezionisti d’arte.
Perché? Perché proprio quei tecnici, quei trivellatori, e i manovali addetti alle pompe, per ingannare il tempo, erano soliti intagliare i caschi in alluminio che avevano in dotazione, e non per renderli più forti e sicuri, ma per amore della bellezza, forse per rendere le loro lunghissime giornate meno tristi.
Lavorazioni all’inizio semplici che mano a mano iniziarono ad arricchirsi di particolari, dal nome del proprietario a simboli che scandivano il passare dei giorni, fino poi a complicarsi in fantasie geometriche e figurative, una vera e propria espressione d’arte.
E addirittura, qualcuno, per farsi bello, iniziò a commissionarle all’esterno, ai migliori artigiani di Java Indonesia, Malaysia, Medio Oriente. Una tecnica che usava smerigliatrici a sabbia, mano, martelletti e scalpello. E tanta fantasia.
Negli anni ’90, le norme di sicurezza misero i caschi fuori norma, sancendo la fine di una forma espressiva, molto simile a quella della decorazione delle zanne di tricheco, denti di capodoglio e costole di balena che venivano incise dai balenieri dell’800.
Oggi gli elmetti vengono prodotti, sempre a mano, solo come souvenir in Indonesia e nel sud est asiatico. Ma i più ricercati rimango quelli originali di oltre trent’anni fa.